SU “MORTE ACCIDENTALE DI UN ANARCHICO” di Dario Fo

Dalla verità della finzione a quella della realtà: l’invenzione di Morte accidentale di un anarchico di DARIO FO

Il premio Nobel del 1997 consacrò a maestro di scrittura teatrale Dario Fo, e inevitabilmente si iniziarono a fare dei consuntivi definitivi del suo lavoro, come l’edizione einaudiana, collana I Millenni,  del suo teatro  uscita nel 2000, che raccoglie, come affermò Franca Rame, attrice e moglie di Fo, nell’introduzione, le commedie più rappresentative di oltre un quarantennio di lavoro, <<Lavoro che inevitabilmente è cambiato e cambia, si trasforma a seconda del tempo, degli spettatori, dell’ambiente culturale e sociale in cui avviene la messa in scena>>..

La fabula di Morte accidentale di un anarchico

Nella questura di Milano il commissario Bertotto interroga un istriomane, un matto fissato nel sostituirsi ad altre persone, accusato di truffa e spacciatosi per luminare della psichiatria. Irretito e infastidito dall’abile parlantina dell’indiziato, il commissario decide di rilasciarlo allontanandosi. Il matto, trovandosi momentaneamente solo nell’ufficio, si cala nella parte di un giudice proveniente da Roma per svolgere un’indagine supplementare sul suicidio di un anarchico accaduto proprio nella sede della questura milanese e, in questa nuova veste, mette in serio  imbarazzo il questore stesso e un cosiddetto commissario sportivo, implicati nella vicenda dell’anarchico. Verbali alla mano, il finto giudice si prende gioco dei due, portandoli a fornire una nuova versione dei fatti, da cui emergeche proprio loro, minacciando e tendendo tranelli, hanno causato il raptus suicida dell’anarchico che si è buttato dalla finestra. Questore e commissario sportivo sono ormai certi di essersi cacciati in guai seri con le proprie mani, di essere spacciati per le persone che contano, e di non aver altra soluzione che un suicidio da raptus come quello dell’anarchico. Dopo averli spinti sopra il davanzale della finestra per l’inevitabile salto nel vuoto, il finto giudice offre ai disorientati funzionari un’altra possibilità: modificare, anche col suo aiuto, le prove, al fine di riaccreditare la versione ufficiale. L’intrico di soluzioni derivanti si complica ulteriormente con l’arrivo di una giornalista temutissima dai due. Col pretesto di volerli aiutare, il matto si traveste ancora, questa volta da commissario della polizia scientifica, ma in realtà riesce di nuovo a confondere i due, e a far dire loro cose compromettenti dinanzi alla giornalista, anche sotto il ricatto di una bomba che potrebbe esplodere. Nel frattempo il commissario Bertozzo, rientrato nella stanza, dopo aver esitato, riconosce il matto: costui allora dichiara che farà esplodere uno scandalo rendendo pubblica la registrazione di tutto ciò che è stato detto in quella stanza;  così appagherà la sete di giustizia dell’opinione pubblica.

   Il testo, in due atti, è ispirato alla drammatica morte dell’anarchico Pinelli, ufficialmente annunciata come suicidio, avvenuta nella questura di Milano; il Pinelli era indagato per l’attentato del dicembre del ’69 alla sede milanese della Banca dell’Agricoltura in piazza Fontana. Il messaggio di denuncia non assume qui la forma esplicita di un teatro-inchiesta o teatro-documento (pur se Fo anche nell’edizione 2000 del Teatro ribadisce di aver usato inserti di documenti autentici) ma è quasi del tutto mascherato dall’azione drammatica: questa si sviluppa nel continuo accavallarsi delle contrastanti e contraddittorie versioni di quello che la polizia è costretta a dichiarare un <<incidente>>; la versione dell’accidentalità del fatto serve come giustificazione di fronte al finto giudice apparentemente incaricato di un supplemento d’indagine.

   In appendice al testo dell’edizione Einaudi del 1988, viene ricordato che nel prologo detto in scena nel dicembre del ’70 si affermava l’intenzione di raccontare il fatto realmente accaduto del <<volo>> di un emigrante italiano, l’anarchico Salsedo, da una finestra del palazzo della polizia di New York nel 1921, e che << A giustificare poi l’attualizzazione e la trasposizione scenica dei fatti si sosteneva, con scoperta ironia, che se qualche analogia con eventi di casa nostra era riscontrabile nel testo, ciò andava esclusivamente attribuito a quell’indecifrabile magia, costante nel teatro in quanto reinvenzione della realtà, […] D’altra parte […] facciamo nostra la convinzione di un teatro che <<possa descrivere il mondo d’oggi agli uomini d’oggi, solo a patto che lo descriva come un mondo che può (e deve) essere cambiato>>. Purché […] sappia legarsi correttamente agli sviluppi della lotta di classe, oggi, nel nostro paese.>>20. Lo spettacolo avrebbe dovuto anche svolgere un ruolo di documentazione e controinformazione, ma soprattutto di contributo alla demolizione delle strutture borghesi dello Stato, secondo le teorie leniniste (andando oltre lo stesso scandalo come <<catarsi liberatoria del sistema>>, in prospettiva socialdemocratica, rifiutando il <<ruttino dello scandalo>> che ripulisce la <<cattiva coscienza>>), una volta portate allo scoperto le eventuali <<trame>> segrete, le collusioni dei vari poteri. La lotta di classe intentata da Fo e da tanti altri comunisti non allineati sulle posizioni del P.C.I., ebbe una pesante e forse definitiva battuta d’arresto in  tutti i paesi occidentali; eppure rimane l’opera, ormai considerata un classico del teatro novecentesco, con i tratti di un apologo di valore universale sulla necessità di tener deste le coscienze, sul senso di solidarietà, e sull’ingiustizia del potere, di quella dei rappresentanti lo Stato, con la loro granitica  apacità di metamorfosi e conservazione, pur in un sistema che vuol essere democratico. Ancora una volta, di fronte alle grandi ingiustizie, un’opera non si <<riduce>> ma si <<promuove>> a spazio autonomo di riflessione e di rivendicazione i cui frutti, nella concretezza storica del vivere civile, non è dato sapere quando e come si raccoglieranno.

   È naturalmente il <<matto>>, l’istriomane, che fa scattare il meccanismo satirico, contrappuntato da clamorose invenzioni farsesche e comico-grottesche, in base al tipico schema del rovesciamento pazzo-sano, una tecnica drammaturgica non certo nuova, se è già parte forte in alcuni lazzi dei comici dell’arte (fino a giungere alla Beatrice Fiorìca pirandelliana!): naturalmente per Fo il ribaltamento sta, in più, ad indicare che è poi la realtà dei fatti ad essere davvero <<penosamente>> farsesca, nella sua contraddittorietà, negli assurdi depistamenti, nelle false invenzioni di inquirenti e giornalisti a quest’ultimi organici, nell’arroganza, anche stupida, che può portare chi rappresenta i cittadini a organizzare le trame più feroci e oscure.

   L’esemplarità tecnico-formale di questa <<farsa>> dalle tinte fortemente noir consiste, come giustamente ha osservato Franco Quadri21, nel continuo montaggio e smontaggio delle contraddittorie e mendaci versioni proposte dagli inquirenti sul caso giudiziario, in un crescendo che va ben oltre il sapore gogoliano per portare verso gli aspetti assolutamente tragici radicati nella stessa vicenda storica. A far <<progredire>> e <<impazzire>> montandola la vicenda, che si dipana con una struttura sequenziale, e sempre originata dalla <<situazione>> (appunto partendo dall’ipotesi che un pazzo s’intrufoli in una questura), è proprio la funzione demiurgica svolta dal matto protagonista, l’istriomane, metateatralmente alludente alla capacità degli uomini di teatro di <<dire>> la verità col gioco della finzione.

Immagine della copertina del volume di proprietà della famiglia Fo