“Si tratta d’amore…”

“SI TRATTA D’AMORE…” da SALVARE ANASTASIA E ALTRI RACCONTI FRA TEATRO E VITA, Roma, EdiLett, 2021, il mio libro di racconti appena uscito.

Questa volta la lite tra Diego e Rita fu davvero furiosa, come mai prima! Lui, da regista che iniziava ad affermarsi decisamente nel panorama piuttosto modesto del teatro italiano, non tollerava di Rita, sua compagna di vita e lavoro, giovane attrice sui trent’anni, alcuni atteggiamenti nell’approcciare e preparare una parte destinata alla scena.

Un esempio fra tutti: Rita, anche in base ai suoi studi accademici, essendo appassionata seguace degli insegnamenti, sia pur teorici, in quanto in gran parte studiati sui libri, di Stanislavskij, spesso si esercitava ad approfondire le azioni da svolgere in scena compiendo  molti “esercizi senza gli oggetti”, tipo: portare alla bocca una sigaretta, accenderla, fumarla e spegnerne il mozzicone.

Per Diego lo svolgere simili esercitazioni significava tempo del tutto sprecato, e ad ogni litigata che scoppiava dopo l’esecuzione dei movimenti necessari, finiva per esclamare gridando come un ossesso: “Si tratta d’amore! …”, intendendo: amore per il mestiere dell’attore. Insomma, secondo lui Rita credeva di amare il lavoro d’attrice, ma in realtà era convinto che il suo comportamento fosse dettato da un ottuso autocompiacimento intellettuale, tipico di alcuni rappresentanti attardati di un invecchiato teatro di ricerca, o di sperimentazione, che dir si voglia.

E ogni volta, alla battuta pronunciata da Diego con una sorta di ferocia, Rita esclamava molto innervosita: “Amore di cosa!? Amore pe’ chi!?”. E lui:

“Per il nostro lavoro, per lo spettacolo da fare, per le nostre espressioni artistiche! Lo vuoi capire? Ma chi se ne frega di Stanislavskij, o di chiunque altro. È roba passata, lo vuoi capi’? Qui e ora, ma proprio ora, stanno nascendo nuove forme di teatro, di comunicazione scenica, che nuove generazioni di spettatori vogliono, e sanno gustare: fra dieci, quindici anni, gli spettatori, oggi anziani, a teatro non ce verranno più, o perché so’ morti, o perché non gliela faranno!”.

E Rita ogni volta chiudeva la discussione, che pareva sempre più un copione per recita, un po’ per quieto vivere, un po’ per non portare fino all’estremo i conflitti, dicendo:

“Diego, ma per me fare l’attrice è innanzi tutto una specie di yoga, una ginnastica mentale, e pure una ricerca spirituale, vabbe’!? Se il teatro, perimetrato solo dagli spettacoli finisse del tutto, non me ne fregherebbe nulla! Farei un altro lavoro, ma lo spazio di creatività personale, e di auto approfondimento esistenziale, continuerei a coltivarlo, e a difenderlo! Ad ogni costo! Lo sai bene, tra l’altro, che c’è pure un teatro di dilettanti che seguendo questi criteri realizzano anche performances davvero interessanti? E sappi che tu, al contrario, senza spettacolo, senza quella maledetta ribalta, saresti senza ragione di vita! Lo sai bene! Pensaci!”.

Però questa volta il litigio fu più furioso che mai. Lo spettacolo che stavano preparando, una loro rielaborazione drammaturgica e scenica del Macbetto di Giovanni Testori, fu richiesto presso un Festival nuovo, organizzato per la prima volta in alcune cittadine della provincia di Lecco, dedicato ad autori e personaggi della tradizione lombarda: un’occasione da non perdere, secondo Diego: ma c’era il problema che per le date indicate la preparazione della messinscena, in base al calendario delle prove, non poteva di certo essere del tutto ben ponderata e rifinita. Diego perse il lume della ragione, aggredendo Rita che aveva appena finito il suo solito training prima di iniziare le prove:

 “Hai capito, si, che ci chiamano al nuovo Festival della provincia di Lecco per il 15 ottobre?”.

 “E certo, me l’hai detto tu un’ora fa, ho capito, ho capito, e allora?”.

Diego, con gli occhi che sembravano iniettati di sangue:

“Come: allora? Ma stai scherzando? Mancano dieci giorni e non siamo ancora pronti: e lo sai perché? Per le tue solite cagate, le stronzate che ci hanno fatto perdere una marea di tempo: e il training, e gli esercizi senza gli oggetti, e quel cavolo di “memoria emotiva”, e il “lavoro sulle azioni”! Rita, mi hai rotto il cazzo, vabbe?… si tratta d’amore!”.

Al che a Rita, pallida, che non aveva mai visto così adirato il compagno, colarono due lacrime azzurre, per via del trucco. Tentò di replicare:” Beh, allunghiamo le prove, lavoriamo anche fino a sera tardi!”.

“Già, e chi paga le ore in più di uso della sala prove? Lo sai bene che Giancarlo, che di fatto è il produttore, ha detto che non può più cacciare un euro, no?! Regione e Comune hanno da tempo sospeso i contributi, e le banche, figurarsi, ora non te danno più il becco d’un quattrino, ‘ste stronze!”, tirando un calcio su una sedia che fece una piroetta attorno a se stessa per finire addosso a Rita, sempre più pallida.

E lei, quasi sottovoce: “E se ce li mettessimo noi i soldi?”.

“Ma tu sei pazza: lo sai bene che ho un debito di ven-ti-mi-la  euro coi miei, no? Me l’hanno detto chiaro e tondo: non possono più prestarmi soldi, semplicemente perché non ce l’hanno! Chiaro? Tu dovevi finirla da quel dì co’ tutti i tuoi bamboleggiamenti da scema inconcludente! Sta a me, regista, dirigerti e dirti se la parte la stai facendo con efficacia o no! Ma ragiona: Giovanni Grasso, la stessa Duse, che cavolo sapevano degli insegnamenti di chi doveva ancora veni’!? Eppure giravano l’Europa!… addirittura fecero le tournées oltre Oceano!… Erano considerati dei divi!… E che cavolo! Abbiamo perso un sacco di ore di prova grazie a ‘ste pretese tue! Io non ti capisco, non ti ca-pi-sco!”.

Piangendo a dirotto:

“Diego, non sono pretese. È un mio modo irrinunciabile di vedere le cose: ma non irrinunciabile per un capriccio mio: lo è per una visione di vita, ecco, per come intendo il mio modo di vivere: d’altra parte nella nostra convivenza, hai qualcosa da rimproverarmi? Sei tu che non mi hai mai capito fino in fondo, sappilo! Hai sempre pensato che i nostri spettacoli riuscivano soprattutto per merito tuo! Tuo, e basta! Io, per te, sono una semplice esecutrice a comando: una marionetta!”.

“Rita, il privato lascialo da parte, è un altro contesto, e poi se ci fossero dei problemi nella nostro convivenza, ora non li affronterei: i problemi per me sono: rea-liz-za-re in tempo e bene il nostro spettacolo, cazzo, è chiaro?”.

“Si, è chiaro, ce la metterò tutta, poi…  tireremo le somme!”.

Diego gridando:

“Che vuoi dire tirare le somme? Sei proprio ‘na stronza, allora: allora non hai capito niente del mio discorso, delle mie preoccupazioni, dei rischi che corro, anzi che corriamo! Che ti sei messa in testa, per essere arrivata a vincere il premio di miglior attrice a fine corso alla Galante Garrone di Bologna?! Ma chi ti credi d’essere,  eh?! Ma sei proprio ‘na stronza gigantesca! Questa è la verità!”.

A Rita le lacrime si trasformano in un rivolo continuo e dispettoso. Inizia a mordersi le labbra, mentre serra i pugni, quasi a preparare una reazione fisica contro Diego, che si accende una sigaretta, buttandosi su una poltroncina sotto il piccolo palcoscenico delle prove.

“La tua è… è… una vigliacca aggressione! Ecco! Un attacco vile e da maschio volgare! Ho sempre avuto questo terribile dubbio, anche a letto, se proprio vuoi saperlo! Il dubbio che tu sia un volgare maschio italiano! Sono scopate narcisistiche, le tue! Come la mania degli specchi! Volevi guardare te stesso, i tuoi muscoli tesi nello spasmo  erotico, mentre mi abbracciavi, e magari nemmeno la mia pelle ti interessava davvero! Tutta e sola narcisistica volgarità!”.

“Ma tu sei fuori di testa! Tu stai vaneggiando! Allora tu hai sempre finto, hai sempre recitato! I tuoi mugolii, i sospiri e respiri di godimento, gli urletti, i “dai, dai, dai ancora!”… Sei proprio ‘na stronza! Ma guarda tu… saresti capace di mandarmi in galera!”.

“No! In galera, no! Ma da uno psicoterapeuta si! Narcisista malato, e… malvagio! Credi che non mi sia accorta, eh?”.

“Accorta di che, parla, sputa ancora tutto ‘sto veleno!”.

“Delle tue… si, delle tue masturbazioni! Tipica manifestazione di autoerotismo narcisistico… Te ne tirerai una al giorno di… di… seghe, o robba del genere!”.

“Ma che dici? Tu sei da neuropsichiatra, altro che!”.

“In bagno, si, ti masturbi ogni volta che ci vai, in bagno!”.

“Allora sei una spia, stronza e spia! Si, vabbe’, qualche volta mi masturbo, lo fa ogni uomo giovane, ma, ripeto, ogni tanto, specie quando tu non sei… disponibile… o perché hai mal di testa… o le tue… le tue cose… o perché sei stanca… o perchééé…”

   “perché vado nello studio, la sera tardi, sul tappeto, a fare esercizi, e tu sei tutto contento, in quanto così la tua attrice-compagna può sempre offrire performances importanti…? Vuoi negarlo, questo? Vorresti negarlo?”.

“E anche se fosse? Sei tu poi, però, che appari agli spettatori, tu che raccogli gli applausi, tu che sei all’onore della ribalta! Io sto comunque dietro le quinte! Dovresti apprezzarmi per questo, o no?”.

“Ma a te interessa che funzioni in modo perfetto lo spettacolo, perché siete voi registi del cazzo a comandare! A realizzare il disegno compiuto della messinscena! Voi siete i portatori della vera cultura teatrale, gli intellettuali da intervistare, studiare, lodare, onorare! Sono stufa di onorare il regista, oltreché l’uomo! Ok?”.

“E allora vattene, che aspetti, eh? Dai, se sei stufa di me, vattene pure, fuori, via via!”.

Rita si allontana sparendo per il tempo in cui Diego consuma la sua sigaretta, e smorza il suo accecante nervosismo, sentendosi pentito del suo sfogo che, calmatosi, ritiene inopportuno sguaiato e fuori luogo: pensa che non potrebbe mai e poi mai  rinunciare a Rita; che per lui è bella da morire, affascinante col suo modo di fare e di amare, oltreché essere, certo, una gran brava attrice!  Per un attimo il suo cervello elabora immagini di solitudine estrema, di vita priva di ogni senso creativo e felice… no, lui non può in maniera assoluta perdere Rita! Altrimenti, già si vede vagare per la città, di sera, magari a caccia di qualche puttanella qualsiasi: un cane randagio, sperduto, che s’aggira per le vie deserte in cerca di cibo per vivere.

Rita torna, apparendo all’improvviso: indossa jeans e maglietta, facendo intuire le sue forme delicate e al contempo davvero sensuali: calza due sandali che mettono in risalto le sue caviglie slanciate, e sottili come quelle di una danzatrice orientale; a Diego sale una gran voglia incredibile! Sente tendersi tutto il corpo, desidera Rita come se in quel momento non esistesse nulla al mondo! Ma Rita prende la sua borsa, il suo giubbetto jeans, e volta le spalle a Diego, nel mentre lui le chiede che sta facendo, dove sta andando, e lei:

“Si tratta d’amore… Diego! Quello mio per te! Che è finito, per sempre! Addio!”.

Diego, basito, resta a bocca aperta… sentendosi ucciso dentro!