Il centenario della prima dei Sei personaggi in cerca d’autore

A cent’anni dalla prima dei “Sei personaggi in cerca d’autore”

(Roma, 9 maggio 1921, teatro Valle)

            Son passati cent’anni da quella sera del 9 maggio 1921 quando venne rappresentata dalla compagnia di Dario Niccodemi la commedia più famosa e per ora ancora vivissima di Luigi Pirandello. Ne ho già scritto dettagliatamente nel mio La pagina, lo sguardo, l’azione. Esperienze drammaturgiche italiane del ‘900, (Roma, Bulzoni, 2019). Voglio qui in maniera scorciata, sintetica, riassumere quali valenze letterarie e sceniche può assumere per noi, oggi.

Innanzi tutto, sostengo, assieme ad altri studiosi e soprattutto registi (Carlo Cecchi, Luca Ronconi), che la parte più caduca del testo pirandelliano è la dimensione metateatrale, e di teatro nel teatro, che per gli spettatori di adesso non riserva più l’interesse precedentemente dimostrato. In che modo ci può coinvolgere il conflitto fra i sei personaggi, più Madama Pace, e la compagnia che trovano sul palcoscenico, luogo deputato, mentre sta iniziando una prova di un altro testo di Pirandello, Il giuoco delle parti? Quella compagnia è il modello esistente negli anni Venti del Novecento, cioè la compagnia all’italiana del grand’attore: ma oggi che quasi tutto il far teatro è in mano agli Stabili e ai registi-direttori artistici? E oggi che gli attori stessi hanno sensibilità, modalità lavorative, tempi e spazi ben diversi da allora?

Certamente una funzione, a quest’ultimi, nella commedia pirandelliana, rimane ed è quella di innescare il desiderio assoluto, da parte soprattutto del Padre e della Figliastra, di recitare loro stessi, come fossero attori, la Scena madre accaduta nel retrobottega della sarta-tenutaria di bordello, Madama Pace, con il rischiato incesto, una colpa più moralistica, che altro, forse.

In realtà vi sono alcune possibilità interpretative aperte volutamente dall’autore, nello scrivere un testo apparentemente “caotico”, che potrebbero far pensare anche ad un possibile vero incesto, come pure alla possibilità che la Figliastra sia invece proprio figlia del personaggio del Padre di nuovo “coniugatosi” con quello della Madre; e stando alle parole del primo Figlio della coppia, ancora altre vergogne sembrano essere celate e sottaciute dai personaggi, come, ad esempio, che la Bambina, sorellina della Figliastra, sia stata annegata proprio da quest’ultima.

Sicuramente sia Cecchi (in chiave umoristico-comico-realista) sia Ronconi, con sensibilità post-moderna, sottolineano l’interesse quasi totale che la disgraziata famiglia tutt’ora esercita sui metteurs-en-scene e gli spettatori.

In particolare, Ronconi, che è stato assieme a Strehler e Visconti, fra i primi grandi registi teatrali italiani, ha trattato il testo, nel 2003, con giovani allievi appena diplomati attori, seguendo una prospettiva indicata dall’autore stesso che oserei definire “mentalistica”, e quindi virtuale: tutto è frutto della visione mentale di Pirandello, tutta la vicenda di quei personaggi è opera della sua fantasia poetica, del suo “osservarli” dall’esterno in teatro disperatamente tesi a rendere compiuta la loro vicenda e la loro vita di personaggi che l’autore non ha voluto tracciare.

Tali personaggi, secondo Ronconi, traspaiono solo dal lavoro che i suoi giovani attori hanno compiuto per essere appunto veri e credibili e stupefacenti attori di personaggi-proiezione della fantasia pirandelliana.

Questa messa in scena, visibile nelle teche della RAI, non può oggi come oggi che risultare paradigmatica, e aprire, assieme alla precedente curata da Carlo Cecchi, un riferimento per i prossimi, spero coraggiosi, allestimenti.