Il teatro vive nel rapporto attori-spettatori: l’esemplare, “meravigliosa”


Ermanna Montanari
Se c’è un fondamento oramai innegabile e irrinunciabile nella cultura teatrale del Novecento europeo esso è quello enunciato, sperimentato, teorizzato da Jerzy Grotovski: il teatro si fonda innanzi tutto sul rapporto diretto fra l’attore e lo spettatore, e tutto il resto, pur importante, è complemento.
Se la nuova intitolazione del mio Sito pone in primo piano il “sentimento” è proprio perché dopo molti anni di frequentazione del teatro posso dire che stati d’animo, emozioni, appunto sentimenti, almeno quelli che resistono maggiormente al passare del tempo, mi sono stati offerti da alcuni attori.
Volendo essere concreto e affidarmi ad un esempio-modello desidero richiamare alla memoria quello dell’attrice Ermanna Montanari, che assieme al compagno Marco Martinelli, drammaturgo e regista, ha fondato il Teatro delle Albe di Ravenna, tutt’ora fra i più importanti punti di riferimento nazionali, e non solo. In particolare nella mia testa è rimasto scolpito il suo La camera da ricevere, visto e goduto a Roma al Teatro Due alcuni anni fa.
Nello spettacolo vennero estrapolati i personaggi via via interpretati, da Fatima asina parlante a Bêlda veggente romagnola; da Rosvita dalla squillante voce a Mêdar Ubu che squittisce le sue invettive; da Alcina col suo istupidimento, a Daura e le sue profezie; da Arpagone colla sua afasia, a Tonina Pantani e la sua sete di giustizia, e al premio Nobel Aung San Suu Kyi. Tutti personaggi presenti via via nei testi e nella tessitura spettacolare i quali hanno fatto la storia del Teatro delle Albe, sono stati rivissuti ed ospitati nella “cámbra da rizévar”, uno spazio familiare che diviene luogo mentale, sentimentale, figurale, teatrale!
Nel mondo della vita quella camera, nel ricordo, riporta al tempo dei nonni della Montanari, nella profonda ferrosa e dialettale Romagna (Campiano): in particolare a una nonna “sciamanica”. In metafora scenica è uno spazio agito in cui trova espressione una delicata operazione drammaturgica: una sorta di traslazione da un contesto a un altro, da un utero germinale ad un altro, di personaggi che rivivono perché sono il corpo, la voce, gli occhi, lo sguardo di Ermanna.
L’attrice sa fondere e meravigliosamente confondere le tre dimensioni dell’attore: il suo io personale biografico, il suo io recitante, il suo io metamorfico che assume in sé un personaggio! O che “entra” in un suo personaggio! Cosicché la voce di guida drammaturgica che assume per orientare lo spettatore, preparando e anticipando davanti a un leggìo illuminato l’entrata in scena di un personaggio dopo l’altro, è come ogni volta un aprire la porta della stanza e far entrare l’ospite.
Essa non è affatto una pirandelliana “stanza della tortura”: la camera di Ermanna è un luogo dove lei accoglie nella sua voce, nella sua “maschera”, nel suo corpo, maternamente e nonnescamente, tutti i suoi ospiti, che sembrano pacificarsi nel trovare vita teatrale.
E’ in particolare la voce di Ermanna che commuove lo spettatore, che lo fa cum-movère, nel suo proprio spazio inventivo, incontrando così quegli ospiti: io stesso ho ripensato alla mia nonna, pur se veneta, e a mia madre; al loro dialetto un po’ più dolce, ma con assonanze inevitabilmente padane; ho pensato a tante figure femminili rese sacrificali dalla cattiverie del mondo, o delle istituzioni; ho pensato ad amiche, ad antiche professoresse, che hanno riscattato in qualche modo la condizione femminile.
Certo, non è stata solo la voce a dar vita ai suoi personaggi ospitati: è stata tutta la persona della Montanari, il suo corpo che è costantemente “in vita”, il suo lavoro anche sui minimi particolari, dagli occhi ai gesti delle mani, delle dita, alla posizione dei piedi, e così via, che colpivano, e restituivano vivi quei suoi ospiti.
Meravigliosa Ermanna! che a momenti mi parve essere una italicissima, popolarissima fisarmonica, nel suo salire e scendere sulle note alte e sulle note basse, accordando più vibrazioni, intrecciando drammaturgiche azioni fisiche dell’emissione vocale;
che a volte mi sembrò come un orologio dai meccanismi perfetti, con le sue braccia e mani–lancette, nel sincronizzare movimenti a volte volutamente ed espressivamente disarmonici;
che in altri momenti mi richiamò una poupée che si muove obbedendo a ritmi molto interiorizzati, nascondendoli e rivelandoli assieme;
che in certe movenze e partiture sonore mi parve una sacerdotessa ctonia, giunta da profondità terragne per ascendere su, in alto, su un palcoscenico dove officiare un rito teatrale che assieme si congiunge e ci congiunge a sensi rituali che sembrano perduti per sempre!
Meravigliosa Ermanna!
credit foto Teatro delle Albe

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